Italia anni ’80, una nazione mediamente felice, fresca ancora della sbornia nazional popolare di una vittoria ai Mondiali di calcio e con una economia sempre in ascesa che aveva portato il Belpaese ad essere quarta potenza economica mondiale, un vero miracolo economico considerando la piccolezza geografica della nazione.
L’ Italia, dunque, divenne terreno fertile per la creazione di una medio alta borghesia alquanto estesa. Molti giovani di questa borghesia si ritrovarono a far parte di una sorta di grande tribù contraddistinta da leggerezza e goliardia.
Come in ogni tribù, vi erano dei canoni non scritti ma affermatisi per consuetudine a cui i membri si attenevano.
Nel vestiario, ad esempio, erano d’obbligo giubbino modello piumino possibilmente marca Moncler, calzature in pelle con robusta para in gomma – se erano Timberland, meglio ancora – cinture dal richiamo messicano come quelle di El Charro, calzini lunghi con fantasia scozzese della Barlington e occhiali da sole rigorosamente Ray Ban.

Pare che il primo gruppo di “Paninari” si fosse formato a Milano, la frizzante Milano da bere di quegli anni, grazie ai frequentatori abituali del bar “Al panino”. Leggenda o verità, resta una ipotesi simpatica e che suscita curiosità.
D’ altronde, proprio in quegli anni cominciò ad affermarsi anche il “culto” degli hamburger americani, altro simbolo di quei ragazzi. Indipendentemente dalla visione che si possa avere su un fenomeno di costume prevalentemente centrato sull’ apparenza e non certo sui contenuti, non si può negare che si trattó di un qualcosa nato in un tempo in cui c’ era spazio per la leggerezza, se vogliamo anche per la superficialità.
Possiamo dire che, con la dovuta cautela, i Paninari nacquero e crebbero in un periodo felice. Le famiglie italiane risparmiavano e al contempo costruivano una solida posizione propria e nazionale invidiabile e invidiata da tutto il resto del mondo.
Forse anche per questo tale fenomeno di costume, in qualche modo sponsorizzato e implementato anche dalla neonata televisione commerciale e da trasmissioni come “Drive in”, va si analizzato ma visto con clemenza e tenerezza come si dovrebbe fare, forse, con ogni cosa che riporta ai periodi migliori.
Forever young, state of mind
