Il potere delle storie…Da Omero a Netflix

da Mag 21, 2025A RUOTA LIBERA0 commenti

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Il potere delle storie…Da Omero a Netflix: perché abbiamo ancora bisogno di raccontarle.

C’era una volta un fuoco acceso al centro di un villaggio, e intorno al fuoco, delle persone sedute in silenzio, pronte a lasciarsi incantare da una voce. Quel fuoco oggi è diventato uno schermo, quella voce è un romanzo, una serie, un post. Ma il bisogno è lo stesso: raccontare. Per capirci, per sentirci meno soli, per dare un senso a ciò che ci accade.

Sapete che le origini del racconto hanno radici antiche?

Da quando l’essere umano ha imparato a parlare, ha iniziato a raccontare. Si perché le storie sono nate con l’uomo. Prima ancora della scrittura, prima dei libri, c’erano le parole dette ad alta voce: miti, leggende, canti si tramandavano oralmente, erano ponti tra generazioni, mappe simboliche per comprendere l’invisibile. Raccontare significava tramandare un’identità. I miti spiegavano ciò che non si capiva: il fuoco, il tuono, la morte. Ogni popolo aveva i suoi narratori: gli aedi, i griot, gli anziani della tribù. Figure sacre, custodi del passato e del futuro. Ascoltare le loro storie era come sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Raccontare è diventato nel tempo, o forse lo è sempre stato, un modo per sopravvivere.

Durante le guerre, le dittature, la fame e la paura, gli esseri umani non hanno mai smesso di raccontare e le storie non hanno mai smesso di esistere. Nei campi di concentramento si scrivevano storie su pezzi di stoffa o si narravano a memoria, per non dimenticare. Le fiabe calmavano i bambini nei rifugi. Le lettere ai propri cari diventavano racconti d’amore e di speranza. Viktor Frankl raccontava che chi riusciva a conservare un senso, un “perché”, aveva maggiori possibilità di resistere. E quel “perché” spesso si celava proprio in un ricordo, in un racconto da rivivere mentalmente, in un’immagine viva di ciò che dava significato. Nei rifugi antiaerei si raccontavano fiabe per calmare i bambini. Gli innamorati scrivevano lettere che diventavano romanzi di guerra. Raccontare è una forma di resistenza, ed è, da sempre, anche un modo per non morire.

E quei racconti, quelle storie che leggiamo, ascoltiamo e nelle quali ci immergiamo sono lo specchio in cui guardiamo noi stessi da un’angolazione più dolce o più profonda. Nei romanzi, nei film, ci riconosciamo e ci liberiamo. Ci permettono di vivere molte vite senza lasciare la nostra. Diventano un rifugio, il nostro personale rifugio e ci consolano, ci insegnano, ci sfidano. Perché una buona storia ci fa sentire meno soli, ed è già tanto, in un mondo che corre.

 

E le storie di oggi?

Oggi le storie si sono moltiplicate. È chiaro che viviamo in un’epoca in cui siamo sommersi dalle storie: libri, serie tv, podcast, social. Alcune ci toccano il cuore, mentre altre ci distraggono. Le serie tv moderne, ad esempio, con i loro mondi narrativi complessi, sono le nuove mitologie: personaggi iconici, simboli culturali, trame complesse che tengono insieme milioni di spettatori sparsi nel mondo, che raccontano i nostri desideri, le nostre paure, i nostri cambiamenti.

Una narrazione condivisa che crea comunità.
Anche gli stessi social sono una forma di narrazione quotidiana: frammentata, istantanea, ma pur sempre una storia. Ogni post è un micro-racconto: un momento scelto, una frase, una foto. Alcune storie sono autentiche, altre curate. Ma in ogni caso, raccontare resta un atto umano, anche se mediato dalla tecnologia.

E noi ne abbiamo ancora bisogno.

Le neuroscienze oggi confermano ciò che gli antichi già sapevano…il cervello umano si attiva in modo speciale quando ascolta una storia, perché è progettato per amare le storie: si attiva, si connette, si emoziona. Empatia, immaginazione, memoria: tutto si accende. Una buona storia può farci cambiare idea, emozionare, curare una ferita invisibile.

In un mondo sempre più frammentato, le storie uniscono e ci aiutano a costruire identità, a trasmettere valori, a tramandare esperienze. Raccontare non è un lusso: è una necessità per crescere, per capire e per sentirci vivi. Perché, in fondo, le storie ci aiutano a capire chi siamo, a trasmettere valori, a creare legami. E nei momenti difficili, nei cambiamenti, nei vuoti, raccontare diventa un’àncora.

Non smetteremo mai di raccontare e finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare, continueremo a raccontare.
Perché ogni storia è una piccola torcia accesa nella notte, e in un mondo a volte buio, anche una scintilla, un piccolo bagliore può illuminare la strada e farci ritrovare il nostro cammino.

Raccontare non è solo ricordare: è vivere due volte.

AUTORE : Redazione

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