


Stranamente, proprio in coincidenza di alcune trattative, le prestazioni del talento cominciarono ad essere irriconoscibili. Pochi scatti, dribbling falliti, tiri sbilenchi e tanto nervosismo.
La verità è che per Paolo giocare a pallone era, appunto, soltanto un gioco e quando pensi a giocare non vuoi pensare a responsabilità, contratti, magari allontanarsi dal proprio mondo e da tutte le cose a cui sei veramente legato.
Con queste prestazioni negative gli osservatori piano piano si allontanarono, la società vide sfumare il guadagno dato dalla potenziale cessione del ragazzo e gli stessi genitori si misero l’anima in pace, forse non del tutto dispiaciuti della piega che aveva alla fine preso la faccenda.
Per magia capitó che, appena i fari del calcio dei grandi si spensero su Paolo, questi riprese a giocare secondo il suo mirabolante modo, quello che lo aveva fatto catapultare nell’ Olimpo dei grandi talenti.
Ogni volta che qualche osservatore rimetteva gli occhi su Paolo, guarda caso, di nuovo lui giocava male.
Questo fu il modo silenzioso di un ragazzo di far capire al mondo che a lui piaceva solo giocare a pallone spensieratamente, senza tentazioni di sorta.
Tanti non riuscirono a comprendere, per i più sembrò un dispetto alla fortuna di aver ricevuto un talento simile ma a Paolo non interessava, lui sapeva cosa voleva, voleva solo giocare a pallone.
